DUE PAROLE SULLA FOTOGRAFIA ANALOGICA



Due parole sulla fotografia analogica

Di Roberto Coaloa

 

È il mio fotografare in analogico, quasi una rapida e sorprendente organizzazione della realtà, una catalizzazione della realtà oggettiva in realtà fotografica: quasi che tutto quello su cui il mio occhio-obiettivo si posa, obbedisca proprio in quel momento, né prima né dopo, per istantanea attrazione, al mio sentimento da flâneur ammirato, alla mia volontà e - in definitiva - al mio stile, che intende la fotografia e il ritratto nel classico bianco e nero come corrispondenza di anime. Due anime: quella del fotografo e quella del soggetto fotografato. Là, dove le nostre ali si toccano, i nostri cuori si danno del tu!

La fotografia analogica, in bianco e nero, è parte integrante del modo con cui lo storico e flâneur vede e rappresenta il mondo. Quando fotografo, alla fine, sono sempre uno storico, anche quando sono in un bosco o in un elegante set cinematografico. La fotografia analogica non permette trucchi, abbellimenti al computer di post produzione, come si dice oggi. Lo scatto è quello che vede il mio occhio. Se come storico devo riferire quel che mi risulta dai documenti  e non quello che potrebbe o dovrebbe far piacere alla gente, la stessa cosa vale per il fotografo…

Nelle pagine del mio blog (L’occhio di Coaloa) mostro il mio percorso nel mondo della fotografia, proponendo interviste a fotografi, ricerche su personaggi come Francesco Negri e altri pionieri della fotografia.

Inizio con la mia esperienza negli anni Novanta e Duemila, quando catturai l’anima di una Milano ancora solitaria e superba, superpoetica, trampolino al nuovo millennio.

I primi vagiti nel mondo della fotografia sono stati resi possibili da amici e maestri, come Ferdinando Scianna e Pino Bertelli. Non so come poi sia finito a lavorare per il Comune di Milano nel 2001, ma l’esperienza di “Maratona di Milano” è stata possibile grazie ai suoi ideatori, a due figure per me indimenticabili: Antonio Calbi e Oliviero Ponte di Pino.

Per fare fotografie con macchine professionali, senza l’uso della tecnologia digitale, si ricorre alla Fotografia analogica. La parola “analogica” (tratta dall’uso inglese, mentre i francesi utilizzano il termine “argentique”) enuncia che l’oggetto riprodotto (il soggetto fotografato: persona, paesaggio, cosa) mantiene una analogia formale con l’immagine originale per tutto il percorso realizzativo. L’immagine viene registrata per mezzo di un obiettivo (nel mio caso, per i ritratti, utilizzo il “cinquantino”: Canon da 50 mm), che fa convergere la luce sul piano focale, dove è posizionata la pellicola sensibile (negativo). La luce “impressiona” il negativo, che memorizza le informazioni sull’immagine latente con i valori tonali invertiti rispetto al soggetto inquadrato. Ma osservando un negativo si scopre la sua “somiglianza” (analogia) con il soggetto riprodotto. L’obiettivo da 50 mm è quello più simile allo sguardo umano.

La fotografia analogica è una caratteristica dei grandi fotografi, ma è assai difficile da realizzare, per i seguenti motivi. Diversamente dalla scatto in digitale (che si può vedere immediatamente e cancellare), una foto sbagliata nell’analogico è molto difficile da “recuperare” (la si può modificare nella “Camera oscura”, durante lo sviluppo dei negativi, ma se lo scatto è sfuocato o sbagliato si è persa per sempre la fotografia e con quello scatto anche il costo di quella singola frazione di pellicola). Nell’analogico la messa a fuoco manuale richiede abilità. Ci sono tempi di realizzazione più lunghi e più passaggi di lavorazione e i materiali hanno costi elevati e non sempre si trovano facilmente.

Quindi per aver pronte le fotografie classiche, stampate, ci sono tempi (più lunghi) e costi assai differenti e più dispendiosi del digitale. La pellicola (io uso Ilford HP5 PLUS 400 Asa oppure Kodak) da 36 scatti ad alta sensibilità, adatta per i primi piani.

La carta in cui si stampa da negativo è importante e ha un costo elevato, ma l’immagine che ne esce ha toni e contorni temperati. La “pasta visiva” è morbida. La sua durata, contrariamente a quello che succede nel digitale, è per sempre. Per questo motivo le fotografie in analogico fatte dai grandi Maestri della fotografia possono raggiungere cifre elevate, come un quadro di Picasso.

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